Cari lettori del blog dei corsi di moda a Milano, i  marchi fashion che si impegnano a eliminare entro il 2020 l’uso di sostanze tossiche finora sono 78 e sono in continuo aumento. Un passo importante verso una produzione più etica e sicura. Una moda sostenibile ed eticamente all’avanguardia che rispetti l’ambiente circostante e anche il benessere dei propri lavoratori. Questo l’obiettivo del progetto “Detox my fashion”, nato tre anni fa ad opera di Greenpeace, uno dei più importanti movimenti ambientalisti del mondo che da più di 40 anni lotta in difesa della salute del pianeta e dei suoi abitanti. Proprio pochi giorni fa è stata rilasciata la classifica, chiamata “Sfilata detox”, relativa al 2016; qui vengono riportati i progressi raggiunti da alcuni marchi moda che hanno deciso di aderire alla campagna. I criteri sui quali si basa la valutazione sono tre: il piano per l’eliminazione delle sostanze tossiche entro il 2020, la sostituzione dei perfluorurati (pfc), usati per rendere gli indumenti idrorepellenti, con alternative più sicure e infine l’informazione trasparente sugli scarichi delle sostanze chimiche in acqua da parte dei propri fornitori. In base alle analisi condotte da Greenpeace, i marchi di moda che figurano nella classifica sono stati suddivisi in tre categorie: avanguardia, la moda che cambia e retrovie.

1- AVANGUARDIA: (Zara, marchio del gruppo Inditex, H&M e Benetton) qui compaiono i marchi che hanno tenuto fede ai loro impegni verso la completa eliminazione delle sostanze tossiche.

2- LA MODA CHE CAMBIA: (Adidas, Burberry, Levi’s, Primark, Puma, Adidas, Valentino..) qui vi sono i brand che devono migliorare le proprie prestazioni su almeno due dei criteri di valutazione e rispettare così la scadenze del 2020.

3- RETROVIE: (Esprit, Nike, Limited Brands, e LiNing) qui troviamo chi non ha ancora compiuto i passi necessari ad impedire l’inquinamento da sostanze chimiche generato dalle loro filiere produttive.

Fino a oggi i marchi internazionali che hanno sottoscritto la campagna Detox sono 76 e, grazie al loro impegno verso una moda pulita e libera da sostanze tossiche, anche la filiera tessile sta subendo un grande cambiamento. Per esempio in Italia ben 51 aziende nazionali, di cui 27 si trovano nel distretto produttivo di Prato, hanno scelto di sottoscrivere il programma di Greenpeace. Questo progetto fa sì che molta più attenzione venga data a una risorsa importantissima e vitale per il nostro pianeta: l’acqua. Ancora oggi in molte parti del mondo le industrie, e non soltanto quelle tessili, utilizzano i corsi d’acqua come delle vere e proprie discariche a cielo aperto recando danni enormi. Per esempio in Cina e in particolare a Xintang, soprannominata la “Capitale mondiale dei jeans” è stata riscontrata nei corsi d’acqua vicini alle fabbriche la presenza di cinque diversi metalli pesanti, il cadmio, il cromo, il mercurio, il piombo e il rame. Quando acquistiamo un paio di jeans, magari perché colpiti da un particolare effetto o lavaggio, bisognerebbe ricordare quali tipi di lavorazioni vi sono dietro. La sabbiatura dei jeans per esempio; una tecnica di sbiancamento del denim che può essere letale per gli operai del settore tessile. Una delle conseguenze più gravi è provocata dall’utilizzo di polvere di biossido di silicio, che può essere facilmente inalata e portare alla comparsa di gravi malattie. E qui non si parla solo di fast fashion e moda low cost, ma anche di importanti marchi che immettono sul mercato capi in denim da alcune centinaia di euro.